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Siora Lisa a Tauriano - Moglie del pittore Umberto Martina - Tauriano - Il Paese, la Storia, le News e la sua gente

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Siora Lisa di Tauriano - Moglie del pittore Umberto Martina
di Marinella Cimatoribus

Edito dal"Barbacian" n.1 Giugno 2013


Ci sono ancora persone che ricordano la sua esistenza ed il suo passaggio aTauriano. Parliamo della signora Gotti Pavero Maria e o Luisa o Isa, anche il nome è incerto, modella, poi moglie del pittore Umberto Martina. É la persona che è venuta con lui da Venezia quando si è trasferito a Tauriano, nel 1940.

Nessuno la ricorda accanto a lui, questo mi raccontava mia nonna quando ogni giorno nel pomeriggio mi chiedeva di accompagnarla aSpilimbergo per andare a trovare la sorella Teresa, una cognata o una cugina. Si faceva accompagnare sempre da qualche nipote.

Io amavo molto fare la strada a piedi con lei che mi parlava di tante cose, era un momento magico. Attraversavamo il Cosa con la paura sempre alimentata che quelle acque impetuose potessero aumentare all'improvviso e travolgerci. Ponevamo tutta l'attenzione possibile per camminare sulla stretta passerella che fungeva da ponte e poi, quando non c'era acqua, passavamo sul greto guardando la meraviglia dei sassi, le loro forme e colori. Mia nonna era una donna straordinaria impastata di sentimenti contradditori, aveva capacità di ragionamento lucido, pratico, curiosità per il nuovo, forme di assoluto perbenismo con volontà di trasgressione, forse inconsapevole. Osservanza delle pratiche religiose mista a credenze clamorose di superstizione. Ricordo sempre quando, da piccola, avendo perso una minuscola catena d'oro regalatami da non ricordo chi, la nonna mi insegnò che dovevo, in una sera di luna piena, fare tre inchini alla luna e dire per tre volte: "San Antonio, San Antonio ..." . Anch'io, incredula come lei, fatta questa sceneggiata mi sono ritrovata a cercare meglio la collana e a... trovarla.

Ogni anno a maggio preparava un piccolo altare su un tavolinetto coperto con una tovaglia di pizzo bianco che lei stessa aveva lavorato all'uncinetto. Inutile dire che non ricercava la perfezione e, volendo, si potevano ritrovare parecchi errori impigliati tra i punti.

Ognigiorno, io avevo il compito di raccogliere fiori freschi nel prato vicino casa. Facevo dei mazzetti con viole, primule, scarpette, piccole orchidee a grappolo, aquilegie che poi mettevo in un vaso davanti alla immagine della Madonna del Rosario. Il prato c'è ancora, ma non con questi fiori. Ogni sera con il nonno prima di dormire, io ero in camera con loro, recitavamo le preghiere, quelle più comuni, e nelle occasioni speciali l'antichissima "Domdi Jo".

Nonna Rosa
Mia nonna si chiamava Rosa. Era la madre di mio padre. Forse sarebbe stato più appropriato chiamar la "fiore di sambuco". L'alberello del quale usiamo i fiori, i germogli, le foglie, le bacche, il midollo, la corteccia, le radici che cresce sbucando qua e là dove trova spazio, tra fessure di pietre e in ogni dove. La nonna infatti sapeva trarsi d'impaccio in ogni situazione tranne in quelle dove si esigeva eleganza e ricercatezza. Era nata nello stesso anno di Umberto, non a Tauriano ma a Pozzo di San Giorgio. Cresciuta in ambiente contadino, aveva sposato il nonno, un uomo bello dal portamento distinto, che non mancava mai di indossare gilè e cappello. Operaio, presso la ditta di munizioni di Tauriano, coltivava anche un piccolo appezzamento di terra per le necessità della famiglia. Hanno abitato prima in Via Della Martina a Tauriano, per poi trasferirsi a due orti e un boschetto di distanza dalla casa del pitôr.

La nonna si occupava della casa come era di dovere, ma quell'ambiente per lei era troppo ristretto, non provava grande soddisfazione nel pulire, far da mangiare e sfaccendare, preferiva occuparsi di tutto quello che riguardava i contatti con le persone per documenti o trattative di famiglia. Una volta, attraverso un lontano parente che aveva un impiego presso gli Uffici Vaticani, era riuscita a promuovere il buon esito di una pratica per la pensione di una donna rimasta vedova. Misteriosi gli intrecci e le raccomandazioni che muovevano la burocrazia di quel tempo. Così, come la sua capacità unica di districare le matasse di lana aggrovigliate e piene di nodi, forse acquistate così perché costavano meno, perché vecchie di magazzino. Impiegava anche giorni a sciogliere un nodo ma ci riusciva sempre senza rompere il filo.

Siamo nei primi anni del Novecento, le entrate familiari erano misere la nonna contribuiva al bilancio domestico lavando le divise per i carabinieri, allevando qualche animale da cortile. Nel tempo a seguire, raccontava che una volta aveva trasferito a piedi il maiale da Tauriano a Vacile per la macellazione e, per la strada, il povero animale aveva perso quei pochi chili d'ingrasso faticosamente raggiunto.

Era una donna avvolta in pensieri magici e nello stesso tempo emancipata. Con Siora Lisa erano diventate amiche, passavano pomeriggi insieme, c'era di certo un'intesa femminile, entrambe avevano partorito cinque, sei figli, entrambe avevano provato la difficoltà di crescerli in tempi difficili. Erano donne coraggiose, riconoscevano una nell'altra aspetti che sentivano di possedere, ma non esprimevano.

La nonna parlava di lei come di chi aveva vissuto a Venezia in una città unica, straordinariamente bella senza pensare, forse, a quanto era simile la vita delle calli a quella di un borgo di paese. Lisa, con i suoi figli, viveva nella miseria stentava a sopravvivere e, posare come modella, era uno dei lavori che faceva dopo essere rimasta vedova.

Venezia e i campielli e le osterie
In paese nonsi parlava mai apertamente di Umberto e di Lisa come coppia. Qualcuno sostiene che il parroco avesse "convinto" il pittore a sposarla. La sua "compagna di rammendi" (la nonna) raccontava che sior Berto l'aveva sposata in punto di morte. Ci sono altre differenti versioni. Umberto aveva ritratto Lisa, a Venezia, all'interno dell'Osteria che stava vicino al suo studio, tra San Barnaba e i Carmini, che entrambi frequentavano. Il quadro ha il titolo Interno di osteria con suonatori e giocatori. La posa disinvolta della modella faceva comprendere come quell'ambiente fosse per lei un luogo abituale nella realtà. Per questo e per la forma delle sue mani Arturo Manzano parlando del dipinto, nel 1970 in occasione di una mostra a Tauriano su Martina l'aveva definita "gatta da campiello".

Il pittore ricercava e si lasciava coinvolgere nella vita dei campielli, da lì lui traeva la verità della sua pittura. Di bassa statura, tarchiato,i capelli dritti, incolti così la barba. Il viso di colore rosso e violaceo ricordava un "dio delle greggi". Aveva studiato e lavorato a lungo a Venezia con la guida del maestro Ettore Tito, dedicandosi particolarmente ai ritratti. Nei visi dei suoi soggetti sapeva cogliere al di là degli aspetti esteriori il carattere, la personalità. Era questa la sua grandezza di artista. Anche l'impasto dei colori doveva essere armonico. Attraverso incarnati trasparenti perlacei avorio e rosa, bianco e rosa, l'arco degli occhi, la forma della bocca, tratteggiava con pennellate sicure l'anima della persona che aveva di fronte. Umberto la guardava ad occhi socchiusi da sotto la tesa del suo cappello, concentrato e assorto a capirne le intime sensazioni. Così, deve aver guardato Lisa, mentre la ritraeva, come a chiederle "Chi sei?"

E lei era veramente una donna del popolo, di calli e di campielli, di osterie e botteghe. Contrade veneziane sempre animate da venditrici ambulanti ,impiraperle, merlettaie, portatrici d'acqua sedute fuori dalle porte delle loro abitazioni perché dentro troppo anguste e buie. Donne intente nei gesti quotidiani: mogli di pescatori, di gondolieri, venditrici, serve che si recavano alle fontane, in chiesa, al banco dei pegni che tornavano dal mercato con le borse della spesa. Distribuiti sulla via oggetti di vita domestica, panni lavati da stendere riposti in ceste di vimini, mastelli per l'acqua, assi da lavare che, sostenute da due sedie, diventavano tavolo per mangiare e giocare a tombola.

Umberto Martina amava dipingere queste realtà, con poca attenzione per il paesaggio, e con le figure isolate le une dalle altre. Le rappresentava chiuse in un mondo proprio, incapaci di comunicare sentimenti e emozioni alla pari di sé che era schivo, taciturno e tormentato. Di Umberto ci sono diversi autoritratti o di lui seduto davanti al cavalletto. Solo in qualche foto su riviste degli anni '30 si vede la sua figura intera sempre da lontano o mentre, in bilico su un piede, mostra e insegna un tiro a bocce alla friulana. Il suo senso estetico e il costume di quel tempo non gli permettevano di accettare la sua persona considerata poco attraente, soprattutto per la bassa statura. Il suo ideale di uomo potrebbe essere raffigurato nel quadro con tre personaggi e un cane, denominato La  famiglia del tragante, dove il cacciatore slanciato e vigoroso si mostra interessato alla sorte delle due donne sofferenti incontrate lungo la strada. Il cane pare ascoltare attentamente  quanto viene detto, con sensibilità paterna, alla ragazza che guarda cupa davanti a sè, con dolore. Forse, questa madre sta accompagnando la figlia a servizio da qualche parte per avere una bocca in meno da sfamare, altri figli a casa aspettano, il padre non c'è più, nel suo sguardo c'è la tristezza di chi è costretta a lasciarli.

Così viene interpretato questo lavoro di Umberto Martina su "La Patria delFriuli" nel luglio del 1931 da Guido Antonio Quarti. Si può notare come il viso scarno della madre sembri appartenere alla stessa modella ritratta all'interno dell' Osteria con suonatori di data imprecisata, anche qui una popolana.

Le donne del popolo a Venezia erano considerate le portatrici più autentiche dello "spirito" locale che perpetuavano con i loro racconti estorie della tradizione. Le scene descritte si rifanno ad un mondo ottocentesco, ma, nei primi anni del Novecento, già si va oltre l'immagine delle servette goldoniane. Si comincia a capire che le donne sono forti, capaci di prendere la parola, entrare in fabbrica e difendere i loro diritti. Il cambiamento dei tempi si vede soprattutto, quando le giovani donne si danno il diritto di fare scelte di vita seguendo una nuova morale di libertà senza lasciarsi vincolare solo dal dovere e dall'obbedienza.

Anche per Lisa sarà stato difficile fare la scelta di seguire Umberto aTauriano? Anche in lei c'erano fragilità e forza: seguire l'uomo che le dava condizioni di vita migliori lasciando i figli e provvedendo al loro sostentamento da lontano? Restare con i figli e fare una vita di stenti, o seguire la persona a cui era legata da tempo che sicuramente traeva beneficio dalle sue cure e premure?

Arrivo a Tauriano
Arrivata a Tauriano, "Siora Lisa" con il Pittore sono andati ad abitare nella casa, con terreni, che Umberto aveva acquistato con il suo lavoro. Dopo i primi tempi vissuti in povertà, senza mai cercare clamori e senza mai lamentarsi aveva ricevuto i meritati riconoscimenti. Ora possedeva tanta terra, mucche e diverse proprietà. Il fratello Augusto amministrava i beni, le terre erano lavorate a mezzadria. Il fratello e la famiglia dei fittavoli abitavano in due parti diversedi una stessa casa, di fronte all'abitazione del pittore, oltre la strada e la roggia.

Della famiglia a mezzadria il padre lavorava la terra, mungeva le mucche e parte del latte lo portava in latteria a Tauriano; la madre, nei primi tempi, quando il pittore era ancora in buona salute, lo accompagnava con la"biroça" a Spilimbergo, dove lui aveva amici e sempre cose da fare. La figlia Cesarina, che a quel tempo aveva dodici anni, ricorda le scene di vita familiare di Umberto e Lisa.

Lui vestiva con lastessa giacca di velluto di cacciatore da sempre. Le numerose tasche servivano spesso per metterci ciuffi di prezzemolo o sedano o altre verdure che gli venivano date. Era vestito come un mendicante e per tale veniva scambiato, qualche volta. Il cappello aveva il buco chegli amici veneziani gli avevano procurato per scherzo. Anche il pastrano era lo stesso che aveva a Venezia.

Quando era là, mangiava ogni giorno minestra di fagioli che cucinava lui stesso. Lisa non amava cucinare. Quando si trovava a Spilimbergo, accompagnato dal fittavolo, andava alla trattoria "Tre Corone". C'erano come dei rituali a seconda di chi si incaricava di portare "Sior Berto" a Spilimbergo. Con la moglie del fittavolo si andava col calesse, poi lei rientrava a casa. Il pittore per tornare trovava un passaggio sui carri agricoli che rientravano in paese. Quando lo accompagnava l'amico Pierin Dosi faceva andata e ritorno seduto sul ferro trasversale della bici di questi.

Lisa restavaa casa da sola. Poteva succedere che venissero aerei a bombardare o suonare l'allarme, lei perdeva comunque la testa. Aveva così tanta paura che scappava, correndo, a rifugiarsi a casa di mia nonna o in qualche altra famiglia dove si sentiva protetta. Quando la salute del pittore era peggiorata e camminava a stento, siora Isa trovava riparo in uno scantinato della loro casa, dove avevano ricavato un rifugio.

Cesarina ricorda. Quando passavano gli aerei per bombardare, il pittore era quasi infermo a letto, siora Lisa scappava nello sgabuzzino. Io, col permesso di mia madre, andavo a fare compagnia a sior Berto e a fare qualche lavoretto. D'inverno accendevo la stufa nella camera del pittore che si trovava al primo piano. C'erano stufe in ogni camera. Quando suonava la sirena dell'allarme, lei scappava e io restavo, anche per dar da mangiare a lui. Salivo, portavo il mangiaree lo imboccavo. Passavano gli aerei e anch'io avevo paura, ero piccola. Un giorno, appena arrivata in camera, lui mi ha guardata e, accortosi di quello che provavo, mi ha detto: "Paura Nina?", "E... e sì, go paura", "Paura! Paura! Son pur qua mi." Tra me e me io pensavo: sì ma tu sei... . A quel tempo sembravano tutti più vecchi di quello che erano in realtà.

Cesarina
Io andavo in questa casa ogni giorno, questo era il mio compito, il mio lavoro, un tempo si cominciava presto a rendersi utili. Una mattina, mi ha chiesto di accompagnarlo nello studio. A lui le idee venivano di notte. Si alzava, trascinando i piedi andava nello studio e faceva degli schizzi, così mi ha fatto vedere lo schizzo di quella notte. Una Madonna con la testa in giù aveva fatto. "Alora cossa te parelo?""E... e ma ,sior paron..."(si chiamavano sempre paron e parona) "sior paron"-dicevo io - mala xe co la testa in zo!""Ma no che el xe drito!","Ma no che nol xe drito, mi no lo vedo drito.",dicevo io e lui di risposta "Te xe una stupida come la to parona". Mi diceva sempre così... come la tua padrona. Da quello che io ricordo la vita trascorreva in questo modo finchè una domenica, Umberto si è fatto portare a basso per farsi lavare i piedi e tagliare le unghie dalla sô femina, come sempre lei faceva. Poi mi ha detto: "Vai a chiamare tuo padre che ho bisogno di lui. "Per tutto il giorno ripeteva che aveva cose da fare e sistemare, aspettava il notaio, voleva il notaio. "Aspetto il notaio, aspetto il notaio..."Il notaio non è arrivato. Alla sera lui è morto. Aveva sentito giungere la sua fine. Io ero andata in cucina per accendere la stufa, sono tornata in camera lui stava spirando, così ho chiamato la sô femina che è arrivata in tempo per vedergli esalare l'ultimo respiro. Ricorderò sempre la scena, tirandolo per i piedi, piangeva e diceva: Berto, no sta lassarme qua sola, Berto no sta lassarme...!

Anch'io piangevo fino a quel momento non avevo mai visto morire persone. Dopo la morte di Umberto, Lisa aveva timore a dormire senza nessuno, così la mamma di Cesarina con il fratello più piccolo andavano a farle compagnia. Lisa era una bella donna, quando è rimasta sola aTauriano forse aveva cinquantacinque, sessanta anni. Vestiva sempre di nero con gli abiti lunghi del tempo.

La modella, immortalata in quei ritratti di giovani donne e di signore che aveva accompagnato Umberto, anche nella vita era una donna minuta, con l'età si era arrotondata senza mai perdere quell'incarnato dal biancore di madreperla. I suoi capelli leggermente crespi, dipinti come schiuma di mare erano diventati candidi, facevano da cornice a un viso dolce e paffutello. I suoi abiti non lussuosi erano pur sempre differenti da quelli più modesti delle donne del paese.

Aggiunge Cesarina: "Ho sempre avuto nei miei pensieri quest'uomo e questa donna. Lui era buono, era un uomo buono, anche lei era una buona donna. Erano una coppia descritta come litigiosa, ma si capiva che avevano trovato il modo per stare insieme. Lui era irascibile, irruento lei lo rabboniva: «Berto sta bon, Berto sta bon..» Lo chiamava, lo calmava. Si volevano molto bene, ai rimbrotti di lui, lei rispondeva con il silenzio, taceva sempre."

Siora Lisa si può dire che in paese non avesse amicizie profonde, non andava mai fuori. Lui era in disaccordo anche con suo fratello che era amministratore delle sue proprietà. I figli di siora Lisa la ricordavano, lei provvedeva ai loro bisogni e soprattutto uno veniva a trovarla spesso da Venezia, in bicicletta. Umberto aveva un buon contatto con la Chiesa. Per quella di San Nicolò di Tauriano ha dipinto i medaglioni che ornano le pareti all'altezza del soffitto. Si racconta che il quadro di San Nicolò che ora si trova e sposto inchiesa a Tauriano sopra l'arcata centrale dell'altare fosse rimasto per lungo tempo nel granaio abbandonato, incompleto, sotto il granoturco. Mancava la barba del santo. Pare che sia stato portato a termine da un suo allievo. Il viso di San Nicolò ha i tratti di "Pagnuc" il sacrestano di quel periodo, un volto scavato, angoloso, intenso e semplice insieme.

I lavori del pittore Umberto Martina ornano molte chiese del Friuli e del Veneto,i suoi numerosi ritratti fanno parte di collezioni private, altri lavori si trovano nei musei. Lisa prima di andarsene ha donato alla nonna il suo catino da toeletta e il portasapone. Due oggetti che hanno impresso sul fondo il marchio di artigianato friulano. Porcellana decorata con fiori stilizzati di cardo che io tengo con molta cura. Il catino soprattutto mostra i segni del tempo, ma ricorda la finezza del gusto di Lisa nonché il benessere di vita raggiunto. Cose arrivate da lontano che uniscono vite di donne.

Un giorno Lisa è partita, nessuno ricorda quando, né come.


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WebMaster Raffaele Tomasella
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