Umberto Martina - Tauriano - Il Paese, la Storia, le News e la sua gente

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Da G.Bastianello -- tratto da «L'ARTUGNA* (anno 2", n. 2)

Umberto Martina,
è stato uno dei più importanti, e vigorosi artisti pittori friulani della prima metà del '900.
Nacque  a Dardago il 12 luglio 1880. Sua madre era una Bastianello, nata e  domiciliata a Dardago, andata sposa ad un Martina di Tauriano di  Spilimbergo.
Certamente Umberto ha trascorso i suoi primi anni di  fanciullezza a Dardago. La mamma abitava le case cosiddette ora « del  maresciallo, in via Brait
L'arida terra dardaghese non dava e non da  neppure ora il sufficiente per vivere alla sua popolazione. Seguendo  quasi una tradizione anche il padre di Umberto si trasferì a Venezia,  ove aprì un caffè in campo Santi Giovanni e Paolo, il «Caffè Cavallo»  che tuttora esiste e che fino a qualche anno fa aveva ancora alle  pareti, alcuni quadri del nostro Martina, Lo segui presto anche la  famiglia stabilendosi definitivamente a Venezia.
E così Umberto  Martina divenne veneziano. Il padre voleva forse farne un caffettiere,  un albergatore, ma egli riuscì a ribellarsi ai progetti paterni ed a  seguire il suo innato istinto per la pittura.
Frequentò l'Accademia  di Venezia dove allora imperava il maestro Ettore Tito. In pochi anni  Martina si affermò come uno dei più quotati, pittori del momento. Basti  dire che ad un concorso indetto nel 1923 per una pala d'altare per la  chiesa di Valdobbiadene, egli fu scelto con altri tre pittori per una  seconda prova fra centoquattro concorrenti e centoventi. bozzetti  presentati.

Egli si dedicava di preferenza a ritratti. A centinaia passarono nel suo studio, in Fondamenta ai Carmini, personaggi illustri, donne aristocratiche, sacerdoti, gente del popolo: gondolieri, scaricatori del porto, lavandaie... Trattava assai poco il paesaggio e la natura morta, giudicando forse di secondaria importanza tedi espressioni, preso come era dallo studio dei volti, umani, dal suo profondo interesse psicologico, ambientale.

Dipinse molte scenette del Settecento, non tanto per far rivivere con esse una documentazione storica di costumi tramontati, quanto per la gioia di sbizzarrirsi con pennellate su vestiti di seta, manti svolazzanti, sottane sgargianti, parrucche di cavalieri serventi.

Varie chiese del Friuli e del Veneto hanno pale d'altare eseguite da lui su commissione.

In questi dipinti di soggetto sacro egli si ricollega alla pittura dei maestri del settecento. Le sue composizioni classiche, anche un po' manieristiche se vogliamo nell'ossatura generale, hanno una luminosità squillante di toni ed una pennellata fresca, spontanea, gioiosa.

Opere in Italia

Un cenno speciale meritano i dipinti da lui eseguiti nel Duomo di Portogruaro. Sulle quattro vele che si stendono sotto la cupola del transetto, egli dipinse, ad encausto, i quattro evangelisti e su quattro tele, ai lati degli organi che si fronteggiano, episodi della vita di S. Gregario Magno, di Guido d'Arezzo, di S. Cecilia, del Re Davide.
Egli dovette accingersi a questo lavoro con impegno e studio severo, in quanto le sue opere dovevano reggere il confronto con quelle vicine di altri grandi pittori friulani, quali l'allievo del Pordenone, Pomponio Amalteo ed il Carneo di Udine. In queste figurazioni egli si dimostrò veramente quell'artista che era, sfoggiando un disegno sicuro ed incisivo ed una profonda conoscenza anatomica, ispirandosi a forme michelangiolesche, forse a scapito del colore del quale egli, da schietto Veneto, era ammiratore e cultore squisito.
Fu segnalato in altri concorsi a cui aveva partecipato, primo tra i quali quello per il soffitto detta chiesa degli Scalzi a Venezia, soffitto del Tiepolo che era andato distrutto netta guerra del 1915-1918.
Fra moltissimi altri fu scelto anche il suo bozzetto, ma poi non se ne fece nulla. Più tardi l'esecuzione fu affidata al maestro Tito.
Non si è mai saputo il perché di questa decisione.
Per questo motivo e per altre angherie cui fu soggetto, egli si ritirò sdegnosamente da ogni manifestazione pubblica, comprese le Biennali veneziane.
Egli che era un uomo molto schivo e semplice, un po' misantropo per natura, arrabbiato contro tutte le falsità egli intrighi di corridoio, viveva solitario nel suo studio, frequentava gli ambienti del popolo, tra cui traeva i modelli per i suoi ritratti più veri, più sinceri, più confacenti alla sua indole.
Forse per questa sua protestataria solitudine, egli non ebbe fortuna nel mondo ufficiale, dove troppo sovente bisogna scendere a compromessi con la propria ingenuità. Ricordo di essermi recato nel suo studio per avere da lui un giudizio su alcuni miei quadretti Mi accolse cordialmente (eravamo pure parenti), non giudicò del tutto male i miei tentativi, mi esortò a studiare e lavorare molto, se volevo riuscire e poi aggiunse gravemente: « la via dell'arte è assai dura ed è cosi piena di tante afflizioni che non so se vai la pena di continuare su questa strada». Sembrava parlasse a se stesso, lui che era già un arrivato. Era la confessione più sincera della grande amarezza in cui si dibatteva Il suo animo per l'isolamento in cui era stato relegato da una certa critica non scevra di partigianeria e di cattiveria nei suoi confronti.
Durante l'ultima guerra, Martina aveva già 56 anni, sfiduciato e malato, pensò di abbandonare Venezia e ritornare alle sue terre. In quei tristi momenti, avrà certamente ripensato a Dardago dove era nato. È sempre cosi La nostalgia della propria terra, il vago ricordo dei primi anni di fanciullezza serrano l'animo di chi si sente affranto ed in declino.
Ma a Dardago non aveva più casa ed i parenti lontani, e così si rifugiò a Tauriano di Spilimbergo di dove era oriundo il padre.
Visse pochi anni, Dio solo sa quanto avrà sofferto in quell'esilio volontario, se pur malato e rispettato da questa gente bonaria, semplice e forte.
Prima che la guerra terminasse egli moriva il 14 gennaio 1945, all'età di 65 anni.
G.B. BASTIANELLO

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